
Anna Carrucola
La nostra vicina e amica Anna Carrucola vive da sempre nel Cerretino. Recentemente le membre di TdC Anna Zambon e Adriana Fiorante si sono sedute con lei per parlare dei suoi ricordi gastronomici.
Puoi descrivere i tuoi ricordi del cibo durante la tua infanzia a
Cerretino e come si svolgeva la vita quotidiana in famiglia, compresi i tuoi
primi ricordi della cucina e delle abitudini alimentari?
La mia mamma cucinava molto, e noi non abbiamo mai sofferto la fame perché avevamo pecore e galline. Mio padre faceva il muratore, quindi, anche se i soldi erano pochi, riuscivamo a vivere bene. Mia mamma faceva la pasta e il pane in casa, e quando faceva il pane preparava anche la schiaccia, con sale e olio. I dolci erano pochi e si preparavano solo per le feste, come ad agosto e per Pasqua, quando facevamo biscotti e pizze lievitate.
A colazione mangiavamo latte e caffè d'orzo, che facevamo noi stessi abbrustolendo e macinando l'orzo. Ho iniziato a cucinare solo dopo essermi sposata, perché mia mamma non mi permetteva di toccare le pentole. Noi bambini aiutavamo con le faccende di casa, lavavamo i piatti, facevamo il bucato alla fontana e portavamo le pecore al pascolo.
Ricordo che il bucato si faceva con la cenere e l'acqua bollita. Mia mamma filava la lana delle pecore e faceva le maglie per tutti noi, persino per mio padre che le indossava anche d'estate. Quando mia mamma cucinava, io e i miei fratelli dovevamo fare altre faccende. Non ci era permesso cucinare, quindi ho imparato da sola osservandola. Il piatto preferito della mia infanzia era la pastasciutta, in particolare le tagliatelle fatte in casa. Tuttavia, mangiavamo minestre più spesso che la pasta, come la minestra coi fagioli che non mi piaceva. Mia mamma cucinava sempre un secondo piatto, cosa che non era comune in tutte le famiglie. La domenica era speciale, si cucinavano gnocchi, tortelli e altri piatti più elaborati rispetto agli altri giorni. La domenica mia mamma non andava a messa perché doveva preparare il pranzo. Noi andavamo alla messa delle undici e a mezzogiorno eravamo di ritorno per mangiare. La cena dipendeva dalla stagione: in inverno si mangiava presto, mentre in estate si cenava più tardi.
Puoi raccontarmi quando è arrivata l'acqua e la luce in casa vostra a
Cerretino e come avete gestito la situazione prima di avere queste comodità?
L'acqua è arrivata in casa nel 1974. Prima di allora non avevamo acqua corrente e dovevamo andare a prendere l'acqua alla fontana con le brocche. Quando mi sono sposata nel 1961, l'acqua corrente non c'era ancora, quindi portavo l'acqua dalla fontana di Cerretino. Avevamo un vantaggio perché c'era una vena d'acqua e un pozzo vicino, quindi per alcune faccende come sciacquare i panni usavamo l'acqua del pozzo. Tuttavia, per cucinare e lavare le verdure dovevo portare l'acqua dalla fonte. Portare l'acqua con le brocche era un lavoro faticoso, specialmente perché bisognava fare tanti viaggi.
Oltre all'acqua, non avevamo nemmeno la luce quando mi sono sposata. La luce è arrivata a Cerretino un po' prima, ma qui non c'era. Mio marito, che faceva il falegname, aveva bisogno della luce per lavorare, quindi fece domanda e pagò di tasca propria per portare la luce qui. Propose agli abitanti di Ronzinami di condividere le spese per avere la luce, ma loro rifiutarono, preferendo continuare senza elettricità. Uno di loro disse addirittura che "la luce mi basta quella degli occhi."
Puoi raccontarmi delle vostre abitudini di coltivazione e raccolta di
ortaggi o erbe spontanee e di come nella tua famiglia si è imparato a cucinare?
Da piccola, mia mamma piantava molte cose nel nostro orto, come patate, pomodori,
mais per la polenta, e anche lenticchie. Non compravamo quasi nulla, perché producevamo
quasi tutto ciò di cui avevamo bisogno. Avevamo una vigna per il vino, tanti alberi da frutta
come fichi, pesche, peri, meli, e ciliegi. I fichi erano particolarmente abbondanti, e mia
mamma ne faceva marmellate. Coltivavamo anche fagioli, e mi ricordo che c'erano i fagioli
della regina, che erano grandi e molto buoni, quasi come mangiare carne.
Per cucinare, usavamo ciò che producevamo. I fagioli, ad esempio, li preparavamo in umido
con un po' di sugo di pomodoro o semplicemente conditi. In estate, c'era abbondanza di
insalate e frutta fresca.
Mia mamma aveva imparato a cucinare lavorando come domestica a Castell'Azzara, in una
casa grande che affittavano a persone benestanti, come maestri e dottori. Lì, cucinava per
loro e imparava nuove ricette. Questo è stato il suo unico periodo di lavoro fuori casa, ma è
stato sufficiente per imparare di più rispetto a quanto avrebbe potuto a casa, dove mia
nonna, ad esempio, cucinava soprattutto piatti semplici come polenta, cipollato, e pasta.
Ricordo anche come mia nonna faceva le marmellate e le conservava in modo particolare,
mettendole in foglie di gran turco dopo averle raccolte e scartocciate a mano. Le foglie migliori venivano usate per avvolgere la marmellata, e poi le chiudeva con corde e le
appendeva alle travi. Questo era un lavoro manuale che coinvolgeva tutta la famiglia e che
facevamo dopo cena.
Inoltre, mio nonno faceva i migliacci, una sorta di crepe che si preparava in occasione del
Carnevale. Preparava una pastella con uova, acqua, un po' di farina, e un pizzico di cannella. La pastella non era troppo densa, e la cuoceva in una padella con un po' d'olio.
Una volta pronti, i migliacci potevano essere cosparsi di zucchero, miele o persino formaggio, a seconda dei gusti.
Come gestivate la preparazione e la conservazione dei pomodori
per l'inverno, e chi aiutava in queste attività?
La preparazione dei pomodori per l'inverno era una pratica comune tra le donne,
tramandata di generazione in generazione. Mia mamma, come molte altre, faceva tutto da
sola, perché sapeva già come fare. Questo era un sapere che si passava dalle nonne alle
mamme e poi alle figlie, quindi non era necessario ricevere aiuto o insegnamenti speciali.
Anche quando si trattava di fare il pane, ognuno si arrangiava da sé. Le donne impastavano,
facevano lievitare l'impasto, e poi lo cuocevano nel forno a legna, sapendo intuitivamente
quando il forno era pronto. Facevano diverse pagnotte, che dovevano durare per tutta la
settimana.
Come gestivate il lavoro nei campi e la produzione alimentare nella
vostra comunità, e come si svolgevano le dinamiche di comunità riguardo al cibo?
Tutti avevano un po' di terra e seminavano il grano turco per fare la polenta. Poi si
andava a macinare il grano a Castell'Azzara, dove c'erano due mulini. Il viaggio a piedi
durava circa un'ora e si trasportava il grano con un asino. Dal grano si ricavava la farina e la
semola, quest'ultima usata come mangime per il maiale, che ogni famiglia allevava. Le
famiglie non si scambiavano cibo regolarmente, ma talvolta si condivideva la frutta in
eccesso, come pere o altra frutta, se qualcuno ne aveva di più.
Il lavoro nei campi era manuale e richiedeva l'uso della vanga per preparare il terreno,
mentre chi possedeva vacche utilizzava l'aratro. La produzione di formaggio avveniva
quando si allevavano le pecore. Mia famiglia aveva otto pecore e mio fratello e io ci
occupavamo di portarle al pascolo, recuperarle la sera e mungere il latte per fare il
formaggio.
La giornata era scandita da una routine intensa al mattino, dedicata alle faccende agricole e
alla cura degli animali. Il pomeriggio era invece più tranquillo, spesso trascorso davanti alle
case, dove le donne filavano la lana o si impegnavano in altri lavori manuali, mentre i
bambini giocavano. Dopo cena, la comunità si riuniva per veglie sociali, ma non si
organizzavano pranzi o cene comunitarie, neanche la domenica. Ogni famiglia pranzava e
cenava a casa propria.
La signora Anna ci ha raccontato della raccolta di erbe spontanee, una pratica comune nelle
comunità rurali di un tempo. Tra le erbe menzionate, la malva era particolarmente
apprezzata: "Più di tutti si raccoglieva la malva perché si faceva sciacqui, anche quando
tante volte faceva male i denti," ci ha spiegato Anna. Parlando di finocchio selvatico, Anna
ha introdotto un discorso più ampio su una tradizione radicata nelle famiglie di campagna
dell'epoca: l'uso completo e senza sprechi del maiale.
Utilizzavate il finocchietto selvatico in qualche ricetta particolare?
Sì, il finocchietto lo usavamo principalmente quando si ammazzava il maiale. Si
metteva il fegato del maiale insieme al finocchio per preparare la polenta la mattina. Era una
tradizione perché il finocchio dava un sapore particolare alla carne di maiale. Facevamo
toccotti di fegato con un po' di grasso del maiale, che si scioglieva con il finocchio e dava un
gusto delizioso. Certe mangiate di polenta con quel fegato erano proprio buone.
Preparavamo questo piatto solo quando si ammazzava il maiale. Se avanzava del fegato,
facevamo i fegatelli, tagliandoli a pezzi e salandoli, aggiungendo finocchio e un po' di pepe.
Usavamo una pelle sottile, chiamata "ratta", che si trovava dentro il maiale. Questa pelle,
tutta quadrettata e righettata, veniva usata per avvolgere il fegato, fissata con un bastoncino
di finocchio, come uno stecchino. Poi cuocevamo i fegatelli e li mettevamo in barattoli con il
grasso del maiale. Quando servivano, li tiravamo fuori e li cuocevamo. Era davvero buono. Il
finocchio selvatico si trovava facilmente dappertutto. Non c'era un giorno specifico per
raccoglierlo; lo coglievamo quando ne avevamo bisogno.
Qui non si sprecava nulla del maiale, vero? Come facevate ad utilizzare tutte le
parti, anche quelle che sembrano meno utili?
Esatto, non si buttava via niente del maiale. Anche i residui venivano utilizzati per fare
il sapone in casa. Si usavano le ossa del maiale, come quelle della testa, da cui si
rimuoveva la carne buona, ma c'era sempre del grasso che restava attaccato agli ossi. Quel
grasso, insieme a pezzi di cotenna e altre parti come le orecchie, veniva messo in un paiolo
con dell'acqua. Si aggiungeva poi la soda caustica, che veniva dosata a seconda della
quantità d'acqua. Tutto questo veniva fatto bollire per due o tre ore. Dopo la bollitura, si
versava il composto in una cassetta di legno per farlo solidificare. Prima che si seccasse
completamente, lo si tagliava in pezzi per fare il sapone. Questo sapone veniva poi utilizzato
per lavare i panni. Era una necessità, dato che i soldi erano pochi e la roba scarsa. Nulla del
maiale veniva sprecato, proprio niente.
Può descrivere il processo completo di lavorazione del maiale e come si
utilizzavano tutte le sue parti, incluso il cervello e il sangue?
Di solito il maiale veniva ammazzato la mattina. Per farlo, due o tre uomini
preparavano l'acqua bollente e usavano uno strumento lungo per infilarlo nel cuore del
maiale, mentre altri lo trattenevano per evitare che scappasse. Poi, il maiale veniva pelato
con acqua bollente e raschiato con un coltello per rimuovere il pelo. Dopo essere stato
attaccato a un trave, veniva spaccato e i budelli venivano raccolti in un catino per poi essere
lavati e utilizzati per fare salsicce e salametti.
Il sangue del maiale, invece, veniva raccolto in una pentola, dove si aggiungevano sale,
pezzetti di grasso e uvetta. Alcuni lo preparavano con zucchero al posto del sale. Questo
sangue veniva poi versato in budelli grossi, legati a forma di brusto, e cotti in acqua bollente.
Dopo la cottura, i brusti venivano tagliati a fette e possono essere rifatti in padella. Era un
processo complesso, ma ogni parte del maiale veniva utilizzata per non sprecare nulla.
Persino il cervello del maiale era particolarmente buono, considerato in casa nostra una
prelibatezza.