
Fernando
Abbiamo incontrato Fernando una sera, per provare il vino prodotto nei suoi terreni qualche mese prima, durante la vendemmia alla quale Jane si era unita nel terreno vicino a casa.
Fernando e la moglie Rita ci hanno accolti cucina della casa dove vivono da quando si sono sposati. Le loro famiglie vivevano vicine anche prima che Fernando e Rita si sposassero, e molte delle tradizioni, ricette e abitudini culinarie erano simili.
Nella loro cucina, dove l’intera famiglia si riuniva per mangiare tutti insieme attorno alla cucina economica che una volta si usava sia per cucinare che per per scaldare, Fernando ci ha raccontato dei suoi ricordi d’infanzia legati al cibo e alla vita in campagna.
Fernando, ti ricordi se avessi un piatto preferito quando eri piccolo?
Non mi garbavano i maccheroni.
Adesso non c’è una cosa che non mi garba, la pastasciutta l’ho mangiata anche con la marmellata. Ma sai cosa mi garba tanto? La polenta insugata.
Tanti strati di polenta bella morbida col sugo e il formaggio. Poca carne.
Cosa ti ricordi del vino da quando eri piccolo?
Il vino lo faceva mio nonno paterno. Faceva il vino a Montevitozzo.
Fino a quando abbiamo diviso i terreni ci pensava mio fratello. E dopo la divisione ho iniziato a pensarci io.
Trovi sia cambiato molto nel processo di produzione del vino da quando hai iniziato ad oggi?
Fino a 15 anni fa il vino veniva più aspro, più chiaro, con un colorito proprio misero. Non veniva bene il colore come ora. Ora tengo anche vitigni francesi e ho pali di legno bello robusto a un metro circa di distanza, col filo d’acciaio teso tra uno e l’altro.
Hai cambiato tu i filari?
Prima avevamo varietà vecchissime, quelle che rimanevano dai nonni e anche le viti erano messe in un altro modo. Ma le vigne gestite così non le tengo più. Non si usano più quasi da nessuna parte qui, forse per trovare le piante singole bisogna andare in Umbria.
Ma il lavoro da fare nella vigna è rimasto lo stesso.
Sì. Per fare il vino non basta prendere l’uva e venir via. Sulla vigna bisogna lavorarci tanto e anche soffrire tanto caldo. Le piante crescono particolarmente bene quando c’è il sole che proprio scotta e a quel punto bisogna sistemare tutto per evitare che diventi un bosco.
La parte più faticosa è quando si devono togliere i rami in più e qualche foglia in eccesso. Succede tutto nel momento peggiore per il caldo, tra maggio e giugno, prima che si calmi un pochino.
C’è chi non custodisce i filari, ma così servono dei veleni potenti per mantenerli. Io invece uso sempre metodi naturali. Prima la medicazione si faceva a mano con il verderame, ora si passa col trattore ed è diventato quasi un divertimento.
Quanto tempo impieghi per gestire tutto il terreno?
Ho 10 filari di vite, per farli tutti ci possono volere anche due giorni.
Dopo quando l’hai scacchiata gli dai il verderame. Se dedichi un po’ di tempo ogni giorno ci si sta dietro, altrimenti piglia il sopravvento e bisogna essere almeno in due per gestirla.
Io inizio ad essere in là con gli anni, si sente la fatica.
Cosa è importante per te quando fai il tuo vino?
Non voglio niente di aggiuntivo. Questa è una spremuta d’uva e basta, come viene viene.
Lo teniamo in tini d’acciaio.
Partiamo con la vendemmia e facciamo tutto qui, da soli
Si macera l’uva e si mette nei tini. Io ad esempio la pigio mattina e sera.
Sei l'unico a fare vino qui a Cerretino?
Qui sì, ci sono pochi altri che sono rimasti a cui piace la campagna.
Com’era la vita a Cerretino quando eri bambino?
C'erano tanti ragazzi allora. Ci trovavamo tutti intorno alla fontana qui vicino e c’erano anche dei negozi.
Producevate tutto in casa o acquistavate tanto da fuori?
Intorno agli anni 60 c’erano due alimentari qui vicino. Prima c’era la Tonina, Antonia, che poi cedette la bottega alla figlia Francesca. Era un bel negozietto.
Poi è arrivata anche la Velia, sotto alla fontana e sono rimasti aperti allo stesso tempo.
Non si faceva mai una spesa grande, ma capitava che ci si andasse tre o quattro volte al giorno. Quando ti mancava qualcosa la pigliavi.
Cosa si comprava principalmente in queste botteghe?
La pasta e il riso. Lo zucchero. Per il resto c’erano gli orti e molti avevano gli animali. Addirittura a volte prendevi le uova delle tue galline e facevi il cambio con quelle per la tua spesa.
E cosa mangiavate di solito a casa?
Quando mia mamma era giovane si mangiava molto spesso la polenta, e spesso anche le aringhe, che al tempo costavano pochissimo. Anche il baccalà.
Ma di soldi ne son girati sempre pochi qui in paese. Alcuni non avevano abbastanza soldi per comprarsi le scarpe, ma ogni famiglia aveva qualche pecora e alcune famiglie avevano quattro vacche.
Vi occupavate degli animali anche da bambini?
Da bambini si badava agli animali tutto il giorno, a turno.
Al tempo si teneva spesso mezzo terreno da semina, e l’altra metà la tenevi per il pascolo, ma si doveva stare attenti e controllare le vacche per salvare il grano dagli animali.
Poi c’erano le scuole.
C’era una scuola in paese?
La prima elementare l'ho fatta qui davanti casa.
Poi più avanti hanno riunito le scuole e tutti i ragazzini andavano a Montevitozzo, dove ho fatto fino alla quinta. Per l’avviamento professionale invece si andava a Castell’Azzara.
Se non pioveva prendevo la bicicletta, mentre se pioveva prendevo il mio ombrello verde e mi facevo un’ora di cammino.
Mattina e pomeriggio. D’inverno alle cinque e mezza si tornava al buio.
Eravamo in tre che partivamo da qui.
A scuola portavate da mangiare?
Fortunatamente io avevo una casa d’appoggio vicino alla scuola. Mangiavo lì e potevo lasciare anche la cartella là. Alcuni periodi facevano anche la refezione a scuola.
Dopo le scuole cosa hai fatto?
Una volta finito il terzo anno, cercavano qualcuno per mietere in Maremma, a Magliano.
Partii col pullman, con una valigetta marrone con dentro una falce a basta.
Arrivato all’ultima fermata, ho camminato per un’ora e mezza e poi ho trovato un ragazzotto con una moto. Gli ho chiesto informazioni e mi ha accompagnato: due o tre chilometri me li sono risparmiati così.
La signora per cui avrei lavorato si aspettava il ragazzo più grande che li aveva aiutati gli anni prima. E invece io ero un ragazzetto.
Il primo giorno di lavoro com’è stato?
Mi fecero far colazione e poi mi portarono nella vigna, mi ricordo bene.
C’era questo signore che veniva da San Sepolcro, parlava aretino. Mi chiese se volessi medicare le piante o pulire la vigna.
All’inizio sapevo fare poco, ma ho scelto di pulire la vigna. Col giunco dovevo legare le piante, bisognava riuscire a fargli fare certi giri…
E com’è andata?
Arrivata l’ora di pranzo avevo fatto poco e male.
L’avevo sfogliata un po’ troppo. Dissi che da noi facevano tutti così.
Dopo invece si cominciò a mietere. E ci sono rimasto più di un mese.
Questo era nel ‘60 o ‘61.
Allora non c’era la mietitrebbia. C’era solo un attrezzo dietro al trattore per legare il grano. E si doveva preparare un passaggio per il trattore per non fargli rovinare il grano.
Avevate il mais per la polenta anche a casa?
Sì, era tutto qui dietro.
Si arava, poi c’era un attrezzetto che faceva il solco bello preciso, si seminava il granoturco e poi si passava con la zappa a ricoprire. Qui in montagna però c’erano parecchi sassi e lì intorno si doveva far tutto a mano, con vanghe e zappa.
Poi io d’estate io lavoravo anche con il fieno mentre tanti ragazzi magari andavano a far festa.
E come si arrivava alla farina poi?
Il grano si consegnava al mulino. Una volta si andava con l'asino. Capitava di averne tre o quattro davanti a te e si aspettava. Si legava la corda e l’asino stava lì.
Si pagava il mulino, oppure ti facevano lo sconto col grano.
Poi più avanti abbiamo iniziato ad usare la nostra Bianchina. Avevamo tolto il sedile del passeggero per caricare la semola e la farina.
Non c’era il problema dei cinghiali al tempo?
Oggi, quando semini i cinghiali rigirano tutto. I problemi con quelli sono iniziati negli anni 80.
Prima di quello c’erano tante lepri, di fagiani pochi.
E come si viveva col lavoro in campagna? È cambiato tanto col passare degli anni?
C’è stato un periodo, dagli anni ‘70 ai duemila, che con la campagna ci si guadagnava un poco.
Quassù, poi, non è terreno da semina; sono principalmente terreni da pascolo. Cresceva giusto un po’ di granturco e l’orzo. Qualcuno aveva terreni grandi ma la maggior parte delle famiglie aveva appezzamenti qua e là.
Avevate animali anche nei piccoli terreni?
Ci si allevava le pecore. Da noi stavano qui vicino alla casa.
La mattina decidevo dove mandarle al pascolo. Le avevo addestrate bene: andavano dove le mandavo e quando le chiamavo tornavano indietro. Però bisognava stare attenti perché il lupo te le mangiava.
Il lupo c’è sempre stato nella zona?
Mi ricordo quand’ero piccolo un uomo ne ha seguito uno fino a giù in Maremma, ma si potevano lasciare le pecore fuori anche tutta la notte.
Adesso invece c’è da stare un po’ attenti perché girano in branchi.
Una volta ci sono entrati nel recinto con la rete alta due metri e ci hanno ucciso 14 pecore, tutte gravide di due agnellini. Un macello. È successo più volte, mica una sola, ma dopo l’ultima decisi di venderle.
E a quel punto la bottiglia di vino nuovo è apparsa in tavola per il primo assaggio della nuova vendemmia. È un filo più acidulo di quello dell’anno precedente, molto fresco.
La cura che Fernando mette nel mantenere i suoi filari lo ripaga al momento della vendemmia, quando il processo di raccolta dell’uva a mano risulta molto più spedito non dovendo eliminare il fogliame in eccesso.
Una volta finita la vendemmia, poi, ci si ritrova in cucina per un pranzo insieme, aspettando che l’uva torni protagonista di altri pranzi e cene durante l’inverno, imbottigliata e trasformata nel vino di casa.